Cooperazione Penale in Ambito UE: Facciamo il Punto

All’indomani delle “stragi” di Bruxelles e di Nizza del 2016 – così come all’indomani degli attentati di Parigi del novembre 2015 e così come sempre , dopo ognuno dei tragici fatti analoghi che , da anni , insanguinano l’Europa – si è scatenata la consueta , inconcludente ridda delle tavole rotonde , dei commenti , delle invettive , delle “sentenze” di tutto il bolso e sterminato caravanserraglio dei troppi incompetenti e presuntuosi giornalisti , politici , pensatori ecc , cui ,purtroppo , da fiato la incontenibile libidine “democratica” . Anche questa volta , il tema degli sproloqui ha riguardato la denunciata inefficienza dei sistemi di intelligence e di cooperazione giudiziaria , quanto meno all’interno dell’U.E.
Appare opportuno , per chi desideri fare il punto sulla situazione , comprendere quale sia lo stato della cooperazione giudiziaria penale europea , quali le criticità che si frappongono ad una sua ottimizzazione applicativa e quali siano le prospettive ; non tanto e non soltanto con riferimento al fenomeno terroristico ma , più in generale , con riferimento al mondo della criminalità transnazionale .
Naturalmente l’argomento è complesso e , per affrontarlo con qualche decente possibilità di comprensione , occorre tenere conto di qualche sintetico , ma importante dato conoscitivo .
La cooperazione penale europea è stata -ed è tutt’ora – sostenuta , in ambito investigativo , da buone relazioni fra autorità di polizia , talvolta via via rafforzate da protocolli d’intesa e dalla successiva introduzione di organismi con potenzialità operativa transnazionale , sia pure non rigorosamente definiti , spesso caratterizzati da larghi margini di discrezionalità d’agire , quali Interpol , Europol , Squadre investigative comuni , Rete giudiziaria europea . I loro ambiti di azione sono abbastanza definiti , ma non in modo così tassativo , tanto da evitare sfere di competenze sovrapposte : il che , talvolta , determina attriti e perdita di efficienza nella attività di indagine .
Per arrivare a un momento decisivo nella costruzione di una precisa e forte svolta nel segno della idealità giudiziaria europea ,occorre riferirsi all’anno 2002 , quando è stato varato il primo , significativo istituto procedimentale volto all’effettivo superamento dei “localismi” giudiziari , per conseguire il reale abbattimento delle barriere nazionali attraverso il varo del c.d. “mandato d’arresto europeo “ . Mandato d’arresto che rappresenta , allo stato , il punto di massima cooperazione in ambito giudiziario penale europeo. E’ da questa data che , finalmente , il sistema dell’U.E. ha affrontato e risolto in modo deciso e decisivo, la questione relativa al momento processuale penale più delicato e importante del percorso giudiziario: l’ordine di arrestare una persona.
Quello del mandato d’arresto europeo , che si è rivelato – come era chiaramente previsto da tutti coloro che ne avevano costruito o condiviso o compreso il percorso progettuale – uno strumento di grande efficacia pratica e dal forte impulso ideale , non è stato , tuttavia , un traguardo raggiunto facilmente . La sua complessità pratica , infatti , nasceva dalla preliminare esigenza di armonizzare tra loro alcuni istituti e alcune figure processuali , talvolta molto differenti da Stato a Stato. Non solo ! Si trattava , altresì , di trovare significativi denominatori comuni , idonei a rendere fra di loro compatibili e omogenei tutta una serie di reati attualmente oggetto di forti differenze tra i diversi Stati ; non solo nelle loro definizioni testuali , ma anche nei contenuti descrittivi e sanzionatori.
Questa indispensabile ricerca di un corpo processuale e sostanziale comune o , quanto meno , fortemente armonizzato , ha costituito l’ostacolo più difficile da superare ; soprattutto a causa degli , a volte rozzi , campanilismi nazionali , della storica miopia dell’avvocatura penale – non solo italiana – e della mancanza di una adeguata comprensione della assoluta necessità di dotarsi di un sistema penale comune , quale condizione ineludibile a vantaggio della intera Unione . Esigenza imposta dalla concreta esigenza di effettiva tutela della vagheggiata realtà sociale europea .
La oramai generale ratificazione e introduzione del “mandato d’arresto europeo” appare , quindi , il risultato , combattuto e sofferto , conseguito dalla spinta europeistica del sistema penale ed ha rappresentato un importante banco di prova per il raggiungimento degli altri successivi , indispensabili passi , fino a raggiungere l’obiettivo – certus an , incertus quando – di una U.E. Tutelata da un solo , capillare ed efficiente “sistema giustizia “.
Da allora , da quell’anno 2002 del “mandato d’arresto europeo” , altri tasselli sono stati aggiunti per avvicinarsi sempre più all’auspicato traguardo di un unico strumento giudiziario penale europeo .
Il momento certamente più importante è rappresentato dal varo del c.d. Trattato di Lisbona -13 dicembre 2007 – entrato in vigore in Italia il 1° dicembre 2009 – il quale , modificando profondamente il vigente TCE ( Trattato sulla Comunità Europea che veniva ridefinito “TFUE _ Trattato sul Funzionamento della Unione Europea “ ) , non si limitava alla definitiva e completa sostituzione del termine “ Comunità” con il termine “Unione” , ma introduceva tutta una serie di importanti progettualità innovative . Fra le quali , estremamente “rivoluzionaria” e decisiva nella prospettiva giudiziaria penale , l’avallo della successiva elaborazione di una “procura europea” : ossia di quell’ufficio operativamente egemone e trasversale , cui affidare l’impulso accusatorio , dinanzi a fenomeni delinquenziali transnazionali , inizialmente solo di natura finanziaria .L’art.86 del TFUE recita , infatti << Per combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, il Consiglio……può istituire una Procura europea a partire da Eurojust….>>. Al comma 2 , precisa questa figura , definendola <<…competente per individuare , perseguire e rinviare a giudizio , eventualmente in collegamento con Europol , gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione ,quali definiti dal regolamento ….Essa esercita l’azione penale ….dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati Membri.>> . Deve tenersi presente che questa figura processuale segue , nella sua previsione , quanto indicato nel precedente articolo 83 , nel quale si affida al Parlamento europeo e al Consiglio il compito di <<…stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni .>>. Lo stesso articolo espone poi un elenco di tipologie di reato che presentano i caratteri comuni , dianzi segnalati : al primo posto si cita proprio il terrorismo .Purtroppo la elaborazione concreta di questa nuova figura processuale, si è scontrata subito con il più vistoso dei problemi : quello derivante dal fatto che appare molto difficile attribuire effettiva centralità ed efficacia operative ad un soggetto il quale dovrebbe agire contemporaneamente sul territorio di vari Stati , fra i quali non vi è ancora una sufficiente omogeneità di diritto penale : né processuale nè sostanziale . Vi sarebbe , insomma , un pubblico ministero “europeo” il quale , però , dovrebbe poi operare nella indagine transnazionale avviata , essendo costretto a “frammentarsi” e a “ diversificare “ la sua operatività , a seconda dei differenti strumenti giudiziari dei singoli Stati interessati dalla indagine.
Questo è il punto debole della “procura europea” : essere un soggetto costretto ad operare con strumenti fra loro incompatibili !Fino a quando gli strumenti processuali e sostanziali non raggiungeranno un livello di omogeneità molto elevato , la figura del pubblico ministero europeo è destinata a non poter decollare.
Per questa evidente ragione , le istituzioni europee stanno lavorando al fine di realizzare quel “riavvicinamento” dei diritti sostanziale e processuale fra i singoli Stati , premessa indispensabile per dare attuazione al varo del pubblico ministero europeo .
Il 17 luglio 2013 , comunque , in – ….solo formale ! – attuazione dell’articolo 86 del TFUE sopra richiamato , è stata approvata la “Proposta di Regolamento del Consiglio che istituisce la Procura europea “ . Nella Relazione che accompagna la Proposta si riconosce che , allo stato , non vi è sufficiente collaborazione fra Eurojust , Europol e OLAF ( Ufficio europeo per la lotta antifrode ) – ma anche con RGE (Rete giudiziaria europea ) e con le Squadre Investigative Comuni le interazioni appaiono disagevoli ! – in quanto <<….il coordinamento , la cooperazione e lo scambio di informazioni sono intralciati da una serie di problemi e limitazioni dovute alla ripartizione delle responsabilità tra autorità appartenenti a diverse giurisdizioni territoriali e funzionali ……..sì che gli interventi nazionali di contrasto in questo settore sono spesso frammentati e alle autorità sfugge la dimensione transfrontaliera ……>> dei reati perseguiti .
Ma allo stato , la proposta relativa alla istituzione del pubblico ministero europeo sembra essersi arenata , probabilmente in attesa che si metta mano , prima , alla armonizzazione dei sistemi penali , processuali e sostanziali, dei Paesi dell’U.E. . D’altro canto va osservato che se ci sono voluti anni di discussioni e di dure contrapposizioni ( l’avvocatura penale italiana ha vissuto una stagione assai intensa e fervida di convegni , di scritti , di dibattiti , anche se non sempre caratterizzati da una visione corretta dei pur sussistenti problemi ) per riuscire a varare e recepire il “mandato d’arresto europeo” , c’è da attendersi un non meno problematico e lungo percorso , prima di istituire la figura della procura europea la cui invasività operativa andrebbe addirittura ben oltre la rilevanza del “mandato d’arresto europeo”!
Quali le prospettive immaginabili ?
Dinanzi a questo quadro , sinteticamente delineato , deve essere riconosciuto che una decisiva azione di contrasto alla criminalità transnazionale e , soprattutto , al terrorismo , appare del tutto impensabile .
Soltanto la costruzione di un sistema giudiziario europeo ,se non unico , quanto meno armonizzato negli istituti sostanziali e processuali decisivi , individuato da un corpo scientifico e legislativo competente , politicamente non condizionato e scevro da anguste visioni campanilistiche ( quindi di ardua reperibilità ! ) , potrebbe , entro qualche anno , produrre un risultato soddisfacente . Ma è indispensabile anche una forte , costante pressione da parte della avvocatura penale , sia nei singoli , sia negli organismi rappresentativi quali , in primis , l’Unione delle Camere Penali . In questa prospettiva , da oltre un decennio si impegna il Centro Studi di Diritto Penale Europeo , espressione dell’UAE ( Unione Avvocati Europei ) e riferimento di una radicata cultura giudiziaria-europea intesa quale ineludibile sbocco verso una Unione Europea che non rappresenti la somma di tante devastanti inefficienze giudiziarie , ma la realtà di una tutela penale , salvaguardia della sicurezza , della libertà e della giustizia comunitarie.

Avv. Renato Papa

Como 2019