Il Disastro della Giustizia “Confessato” da un Magistrato

Le attuali (estate 2019) vicende che stanno aggredendo, infangandola, l’immagine del CSM e, di riflesso,di parte della magistratura italiana, rendono incredibilmente attuali due volumi scritti da magistrati soltanto pochissimi anni fa: ”Io non posso tacere” di Piero Tony, “Toghe rotte” di Bruno Tinti, “Solo per giustizia” di Raffaele cantone, ”Assalto alla giustizia” “Un magistrato fuori legge” di Giancarlo Caselli .
Il titolo ( Io non posso tacere ) è tranciante, promette stimoli e aspettative forti. Il sottotitolo poi ( Confessioni di un giudice di sinistra ) orienta sul contenuto, suscitatore di una forte aspettativa ideale e stabilisce subito, senza reticenze, anche la posizione ideologica dell’autore .
Si tratta di uno scritto di Piero Tony, ex magistrato classe 1941, (in magistratura dal 1969 , andato in pensione circa un anno fa, dopo avere ricoperto i ruoli di giudice istruttore prima a Milano poi a Venezia ove ha poi svolto la funzione di giudice nel tribunale penale e in corte d’assise e, in seguito anche di giudice minorile; quindi procuratore generale a Firenze, presidente del tribunale per i minorenni della Toscana e ,infine procuratore capo a Prato) che irrobustisce le fila degli ex magistrati i quali, dopo durature e spesso rilevanti posizioni assunte nell’ambito magistratuale , hanno deciso di divulgare il frutto della loro esperienza. Solo per ricordare alcuni fra i più recenti e noti titoli di ex magistrati-scrittori, segnalo “Le toghe rotte” di Bruno Tinti, “Solo per giustizia“ di Raffaele Cantone, alcuni libri di Giancarlo Caselli ( “Assalto alla giustizia”, “Un magistrato fuori legge “ ed altri ancora, taluni scritti con i colleghi Livio Pepino e Antonino Ingroia ).
Piero Tony ,quindi, è solo l’ultimo ex magistrato, in ordine di tempo, di questo filone narrativo-specialistico che ha visto, soprattutto nell’ultimo decennio, irrobustirsi il numero degli autori e dei titoli; il tutto con un denominatore comune, per certi versi inquietante: la presenza di una “denuncia” di varie e gravi disfunzioni e deviazioni del sistema giudiziario, il quale viene considerato di fatto irrimediabilmente inefficace ad assolvere la propria funzione, senza l’intervento di importanti ma indispensabili modifiche del sistema processuale penale e, in taluni casi, anche del sistema sostanziale. Ma emerge un altro aspetto, anche esso inquietante, da questo filone narrativo ed, in particolare dal libro di Piero Tony: talvolta è lo stesso magistrato-narrante ad avere operato in modo quasi “connivente” rispetto al male ora denunciato.
“Io non posso tacere” non racconta, salvo qualche notizia di dettaglio, cose strabilianti sul sistema giustizia, cose che non siano già note, non solo al pubblico degli addetti ai lavori. Neppure quando affronta le varie questioni relative alle ipotesi di modifica dell’attuale strumento processualpenalistico, l’autore illustra soluzioni inedite o rivoluzionarie. Tuttavia “Io non posso tacere” è un libro che presenta un notevole pregio: Tony “confessa” con onestà intellettuale e con sincerità talvolta “spietata”, fatti e misfatti dell’apparato magistratuale che, se anche in parte conosciuti, raramente sono stati raccontati in forma diretta e senza ammorbidimenti, proprio da un componente di quella magistratura che li aveva quantomeno tollerati. Questo per la verità suscita anche una certa qual rabbia; posto che anche nella avvocatura, da tempo era ( ed è ) diffusa la convinzione dell’esistenza di magistrati che utilizzavano strumentalmente il loro ruolo nel meccanismo giudiziario. Si percepiva l’esistenza di una parte della magistratura che agiva non quale doverosa ed affidabile espressione della giurisdizione “uguale per tutti“ ma, di fatto, quale espressione di una imparzialità solo apparente. Una imparzialità in concreto sgretolata dai condizionamenti ideologici di singoli magistrati o da calcoli utilitaristici verso scelte “di comodo”, quando non anche da mediocrità o inefficienze individuali o intoppi del sistema.
L’autore racconta e si racconta, in modo quasi “diaristico”. E’ come se volesse effettuare, attraverso quella che appare proprio quella “confessione“ indicata nel sottotitolo, una catarsi che lo purifichi dalla contaminazione con le vergogne denunciate e, talora personalmente vissute .
Non intendo svolgere un’esegesi critica di quanto affermato dal dr. Tony ,anche nella prospettiva “de jure condendo“. Dico solo che “Io non posso tacere” non è ( né vuole essere ) un libro rivoluzionario o suscitatore di chi sa quali eccezionali riflessioni: esso registra episodi di una realtà riferita senza veli, denuncia senza ritrosie o autoassoluzioni, i bubboni inesplosi, le prassi deviate, gli accomodamenti indignitosi di una magistratura “malata” e, per altro verso, propone alcuni correttivi ritenuti indispensabili per dare vitalità a un sistema giudiziario attualmente indegno di un Paese civile. Il valore del libro e l’interesse alla lettura, risiedono nella onestà intellettuale che esso esibisce, sia nel riferire fatti specifici e vicende ( qualche reticenza in meno, nel fare taluni nomi, sarebbe stata più in sintonia con la generale compiutezza della “confessione” ) giudiziarie, sia nel non cercare esimenti per gli errori commessi e per le scelte, ideali od operative, rivelatesi errate.
Purtroppo, la ( rapida e facile ) lettura del testo, genera una amara constatazione: è proprio vero, in quanto addirittura “confessato” da chi, per lungo tempo, ha amministrato giustizia, che certa non secondaria magistratura si è mossa, per anni e ancora si muove, secondo logiche dettate da suggestioni ideologiche o da centri di potere. Allora non ci sono più dubbi ! Tanti magistrati si sono mossi e si muovono ancora lungo il canovaccio di vicende processuali che, però, hanno costituito e costituiscono soltanto l’occasione, il pretesto, talvolta consapevolmente innescato ad arte, per “sistemare i conti” con qualcuno o per far prevalere una corrente di pensiero, spesso politicamente interessata. Esce davvero malconcio, da “Io non posso tacere“ ( ma nel libro di Bruno Tinti ,“ Le toghe rotte” , anche il CSM , per esempio , viene davvero massacrato ! ), tutto un mondo magistratuale che non appare certo neppure numericamente trascurabile e che, comunque, esibisce una tracotanza operativa che lascia sgomenti. Un mondo che non opera nell’esercizio solenne e adamantino dell’alta e delicatissima funzione giudiziaria, ma si attiva per affrontare e risolvere, nell’apparente rispetto del diritto, questioni di natura politica o ideologica.
Tutto questo già lo si era capito ! Ma la conferma “ufficiale“ anche di una verità nota, rende la verità stessa più amara e più cruda.
Dinanzi a questo preoccupante scenario, che cosa può mai fare il difensore ? Come potrebbe agire per arginare situazioni di clamoroso strapotere di magistrati “deviati” ? Credo che si possa fare ben poco ! Innanzitutto va amaramente riconosciuto che l’avvocatura penale ha vieppiù perso autorevolezza ( se mai ne avesse avuta , in misura significativa , in precedenza ! ). Il ruolo del difensore, nel processo penale, continua ad essere un ruolo del tutto secondario, marginale, scarsamente influente ! Il difensore, schiacciato dallo strapotere del magistrato, rimane ancora e comunque, nella gran parte del fenomeno giudiziario, un “convitato di pietra” al banchetto giudiziario; anche se non così totalmente escluso come era nel codice Rocco e anche se le indagini difensive gli avrebbero potuto consentire ( e in tanti casi lo consentirebbero ) la assunzione di una centralità e di una efficacia operative, davvero straordinarie. Ma la sua voce risulta, alla fine, troppo flebile nel coro giudiziario; anche perchè non è stato in grado, attraverso un corretto e significativo impiego dello strumento delle indagini difensive, di operare quel salto di qualità – in termini di autorevolezza e credibilità – che proprio la legge sulle indagini difensive ambiva innescare e avrebbe consentito.
Non che questo da solo, avrebbe potuto controbilanciare significativamente l’enorme peso del ruolo magistratuale, specie giudicante; ma sarebbe stato un primo, importante mattone nella costruzione di una classe professionale più idonea a presentarsi, autorevolmente, sulla scena del processo.
Purtroppo questo non è accaduto: l’avvocatura penale ha di fatto dimostrato la sua eccessiva frammentazione e confusione nella individuazione delle scelte deontiche riguardanti finanche la natura e il fine del proprio operare. Non è riuscita, in generale, a superare l’antica ma a mio avviso, inattuale logica de “ il cliente ha sempre ragione “.
Non è riuscita in sostanza a far sì che il difensore penale agisca quale “difensore del diritto” e non semplicemente quale “difensore dell’accusato”. Quindi questa povera avvocatura, perpetuando il tradizionale modello difensivo dilagante, da sempre oggetto di feroce satira, non è stata e non è in grado di acquisire sufficienti autorevolezza e affidabilità per ergersi quale interlocutore forte sulla scena giudiziaria. Scena sulla quale l’avvocato è guardato con totale diffidenza e, salvo eccezioni, con diffusa noncuranza, da parte di coloro che continuano ad essere ( e, in parte, è giusto che lo siano ) i soli “manovratori” del veicolo processuale: i magistrati.
La lettura di “Io non posso tacere“, quindi, al di là delle tante considerazioni direttamente generate dal suo contenuto narrativo, suscita temi sui quali sarebbe opportuna, da parte degli avvocati ( non solo penali ), una particolare meditazione, al fine di considerare se non sia giunto il momento di dedicare parte del proprio tempo, alla ricerca di una identità comune, basata sulla individuazione di una rimodellata idealità della funzione difensiva, aggiornata rispetto ai nuovi scenari sociali determinati dai convulsi e radicali mutamenti dei valori e dei costumi, per la costruzione dell’avvocato del “terzo millennio“.

Renato Papa