A Mal Comune, Mal Comunitario

Condividiamo un mal comune con i nostri amici (ma qualcuno ancora ne dubita) inglesi stanno facendo i conti con l’esplosione della prostituzione alimentata dall’immigrazione dall’est Europa; o, per dirla altrimenti, da quella porzione d’Europa  quanto alla quale personalmente mi chiedo se, per noi, sotto vari aspetti sarebbe stato meglio che “la cortina” non fosse mai caduta. (…Quanto meno avrebbe continuato a contenere una buona parte di quei soggetti  che circolano impuniti per le nostre strade impaurendo i “comuni cittadini”, … non certo la nomenklatura che predica e attua l’accoglienza).
Se si pensi che nella sola contea agricola di Cambridge sono stati scoperti in un anno ottanta (80!) bordelli clandestini e che nella sola cittadina di Peterborough, dove c’erano due “saune” sospettate di mascherare case di appuntamenti, ne sono stati scoperti 48, si può immaginare quali possano essere le dimensioni del problema in una città-stato come la grande Londra.
Alle spalle dei bordelli, viene riferito, c’è un vero e proprio traffico di schiave – acquistate per 500 sterline e vendute per la prima volta a 2-3.000 – alimentato da strutture criminali che evidentemente contano su un’organizzazione in grado di gestire reclutamento (di donne da giovanissime a giovani per lo più indotte all’immigrazione da convenienti – rispetto ai loro paesi – promesse di lavoro pulito), immigrazione clandestina, collocamento, controllo, sfruttamento connesso a sua volta con realizzazione e circolazione di materiale pornografico “hard” e con lo spaccio e l’uso soprattutto di cocaina.
Perché mi soffermo sull’Inghilterra?
Un po’, forse, perché mi fa piacere che gli  inglesi abbiano  i problemi di tutti; il che significa che non sono più oculati di noi. Ma soprattutto perché le dimensioni della loro situazione – quella di un Paese che non ha le frontiere spalancate  (non solo all’est) come noi – possono darci un’idea di quella che può essere da noi la misteriosa entità del fenomeno “criminalità d’importazione”.
Ossia: se le cose stanno come stanno nel Regno Unito – Paese dotato di una legge sull’immigrazione che ha buon senso e di una giustizia che condanna in tempi ragionevolmente brevi e fa scontare le pene – cosa mai cova sotto la cenere, oltre alla prostituzione, qui dove  che abbiamo la solita legge dalla coperta troppo corta (dovendo tener d’occhio troppi interessi diversi)  e anche quella legge  applichiamo col battipanni e con tutti i distinguo che assicurano contro il rischio che essa possa perfino essere  efficace?
Ragionevolmente  sappiamo che, a fianco di non poche strutture di criminalità organizzata nostrana di cui si può  dire di essere riusciti conoscere almeno qualcosa (a caro prezzo), sono ora presenti mafie russe, slave, cinesi, nigeriane  a altre di cui conosciamo poco o nulla anche perché  (a differenza di inglesi e americani) in alcune (in specie la cinese) non avremmo modo di infiltrarci (chi mascheriamo da cantonese, un maresciallo dei carabinieri calabrese?).
Qual è il paradosso?
Un aspetto del paradosso potrebbe essere rappresentato dal fatto che, a fronte di impellenti urgenze operative come quella implicata da quanto sopra esposto, i nostri (si fa per dire) governanti, per fare esempi banali, tempo addietro  abbiano avuto quale  priorità la  “individuazione delle modalità di coordinamento delle attività delle forze di polizia e dei corpi di polizia municipale e provinciale allo scopo di prevenire e contrastare gli illeciti penali commessi nei confronti di animali”! Iniziativa lodevolissima, … ma che forse avrebbe dovuto seguire la  realizzata messa in sicurezza, nelle nostre strade e case, degli esseri umani.
Altro paradosso – sempre e solo parlando di situazioni (nella specie: delittuose) connesse con l’immigrazione – sta nel fatto che, invece di  inventarci la “solita legge” di cui sopra, avremmo potuto approfittare della  consumata esperienza di Paesi che – pur non essendo, quali  noi risaputamente, siamo “culle del diritto (ma neppure sono “tombe della giustizia”) – hanno saputo dotarsi di norme (che applicano!) atte a tener testa alla immigrazione (e conseguentemente ai problemi connessi) anche se  “dipendono” dalla stessa. (In Canada, ad esempio – Paese nel quale vissi per qualche anno come “immigrante ricevuto”, …il che significa con tutti i diritti ma anche tutti i doveri di un cittadino canadese – il 43% della popolazione non è natio del Paese)… Non ci  sarebbe costato altro che l’acquisto di un libro e la spesa di un traduttore.
Già! Sennonché copiare da un ultimo venuto come il Canada sarebbe stato umiliante. Meglio, come di consueto, inventare l’acqua calda e poi accorgersi che la temperatura non è mai quella giusta!

Avv. Domenico Carponi Schittar