La Giustizia Giusta è Sempre Morale?

La giustizia giusta è sempre morale ? Colgo da una datata sentenza delle sezioni unite della corte di cassazione lo spunto per alcune riflessioni sulla “moralità” della giustizia giusta.
L’1 giugno di un certo anno viene venduto in preliminare un immobile al prezzo di euro 121.974.651. Prezzo che verrà pagato dall’acquirente mediante accollo di due mutui residui (euro 28.902.836 e 80.757.918) e la dazione in contanti del rimanente.
In sede di rogito, il 27 giugno di quello stesso anno il prezzo dichiarato della compravendita è di euro 41.000.
L’acquirente poi, versato il contante, salda uno dei mutui e una minima parte del secondo. Il tutto solo fino a concorrenza complessiva del prezzo dichiarato nel rogito: euro 41.000 in luogo di quello convenuto nel preliminare di euro 121.974.651.
Concretamente: euro 80.974.651 in meno; uguale: due terzi in meno.
Il venditore agisce per ottenere la suddetta differenza sentendosi dar ragione in primo e secondo grado e torto in sede di cassazione.
Queste note non entrano nel merito della giustezza in diritto delle decisioni di primo e secondo grado (confortate da giurisprudenza della suprema corte) né di quella della decisione di terzo grado sulla base di una nuova impostazione giurisprudenziale della suprema corte.
(Se fosse questo l’argomento, esso dovrebbe vertere sul come possa azzardarsi ancora di affidarsi alla giustizia qualsiasi cittadino sapendo che quando inizia la sua azione vige una legge – i.e.: una lettura della legge – dovendo però mettere in bilancio che quando – chissà quando! – la concluderà potrà vigere un’altra legge; i.e.: una diversa lettura della stessa legge… e sul come possa essere sostanzialmente legittima una giustizia simile).
No. Queste note concernono un aspetto diverso che prescinde del tutto dal fatto che la sentenza delle sezioni riunite sia sacrosantamente corretta nella lettura (di oggi) e nella applicazione delle norme (le stesse di ieri) del caso.
E cioè concerne la tesi sostenuta dall’acquirente nel resistere alla domanda del venditore: “in base ad accordi tra le parti del contratto preliminare il prezzo della compravendita dell’immobile che ne costituiva l’oggetto era stato parzialmente ridotto”.

Capite?! O meglio: per capire con me leggete tra le righe:
qualcuno vende un immobile,
(potrebbe essere che quell’immobile abbia un valore che supera quello per il quale è posto in vendita),
(infatti) è legittimo ritenere che il venditore abbia sue ragioni di urgenza per concludere,
ossia l’esistenza di due mutui cui ragionevolmente non riesce a far fronte,
e vende al prezzo che gli consente di liberarsene…….

Calate queste premesse nel dato concreto, ritengo sia automatico chiedersi se sia credibile che – individuato, stabilito, contrattato e convenuto un prezzo il giorno 1 giugno – tre settimane dopo il venditore in base a (nuovi) accordi abbia davvero accettato e pattuito di ridurre il prezzo parzialmente … e precisamente di ben due terzi (grosso modo da 120 mila euro a 40.000 euro) tenendosi sul groppone il mutuo più gravoso dal quale mirava a liberarsi mediante la vendita?!
Non può esserlo. Eppure la difesa dell’acquirente – che già sarebbe stata disonesta – non fu “carta canta e villan dormi, io pago quello che è stato scritto nel rogito e poiché è questo che vale, arrangiati”; la difesa fu un implausibile “in base ad accordi tra le parti del contratto preliminare il prezzo della compravendita dell’immobile che ne costituiva l’oggetto era stato parzialmente ridotto”… e la legge o la sua corretta (oggi, domani si potrebbe pensarla diversamente) interpretazione dicono: “va bene così!”.
Non c’è qualcosa che non quadra?
Non c’è lo strumento – o il coraggio di estenderne la lettura come si fa abitualmente – che consenta di dire, arrendendosi al compratore “Sì è vero la legge è dalla tua a e hai ragione di aver pagato solo 41.000 euro”, ma anche “Però, ti sei comportato violando i doveri di probità contrattuale provocando un danno di 80.000 euro che ti condanno a risarcire”?!
E se non c’è, non manca – nei poteri quasi illimitati del giudice – un vuoto da riempire per riequilibrare il torto che la legge nuda (o la sua ondivaga interpretazione) non può da sola colmare?

Lo so di far inorridire qualsiasi civilista e comunque qualsiasi almeno decoroso giurista, ma alla mia età – e dopo 55 anni di professione durante i quali di casi del genere ne ho veduti a iosa – sinceramente me ne infischio e provocatoriamente chiedo: “la <legge” – e, volta a volta, la sua lettura di oggi – è davvero tutto per rendere giustizia? Ed è adeguata a farlo?

Avv. Domenico Carponi Schittar